Clariscience: Storia dell’elettrocardiografo

Come tutti sappiamo, l’elettrocardiografo è lo strumento necessario per l’esecuzione dell’elettrocardiogramma (ECG), un esame diagnostico che consente di registrare e riprodurre graficamente in un tracciato l’attività elettrica del cuore e, dunque, di verificare il corretto funzionamento dell’organo. È un dispositivo medico affascinante, perché è come se trascrivesse i pensieri del cuore.

Tutti noi lo conosciamo, ma forse non sappiamo com’è nato e quale è stato il suo sviluppo nel tempo.

È stato Carlo Matteucci a scoprire la corrente muscolare, ossia il fenomeno elettrico connesso allo sforzo muscolare e all’attività del cuore.

Matteucci, fisico e fisiologo italiano nato nel 1811, con i mezzi tecnologicamente limitati di cui disponeva, portò avanti i suoi esperimenti con la pila muscolare della rana (una colonna di segmenti di muscolo) e con la pila muscolare di cuore di piccione.

Fu poi la volta di Alexander Muirhead, un ingegnere elettronico che si inventò di collegare dei fili al polso di un paziente con la febbre per ottenere una registrazione del battito cardiaco. Questo avvenne nel 1872 al St. Bartholomew’s Hospital.

Nel 1878 J.S. Burdon Sanderson e F.J.M. Page, due fisiologi britannici, provarono a collegare gli elettrodi di un galvanometro alla base e all’apice del cuore di una rana e descrissero per la prima volta la variazione del potenziale elettrico associata al ciclo cardiaco.

Il primo approccio sistematico al cuore dal punto di vista elettrico fu messo in atto da Augustus Desiré Waller, al St. Mary’s Hospital di Paddington, Londra.

Nel 1887, infatti, Waller realizzò il primo elettrocardiogramma, ottenuto usando un elettrometro capillare di Lippmann con elettrodi posizionati sul torace e sul dorso, a dimostrazione del fatto che l’attività elettrica del cuore precede la contrazione. Il suo elettrocardiografo consisteva in un elettrometro capillare fissato a un proiettore: la traccia del battito cardiaco veniva proiettata su una lastra fotografica che, a sua volta era fissata a un trenino giocattolo; ciò permise di registrare il battito cardiaco in tempo reale.

Il passo in avanti decisivo fu compiuto da Willem Einthoven con il suo galvanometro, costruito nel 1903, strumento di misura per piccole intensità di corrente (fino  a 10-12 A) inventato da Luigi Galvani per registrare i movimento del cuore, modificato da Einthoven stesso per farlo diventare più sensibile.

Fu proprio Einthoven a introdurre il termine elettrocardiogramma nel 1893. Questo apparecchio permise la descrizione di vari tracciati elettrocardiografici associati a diverse malattie cardiovascolari.

La scoperta, inoltre, valse a Einthoven il Premio Nobel per la medicina che ricevette nel 1924.

L’elettrocardiografo di quel tempo era un voluminoso apparecchio di laboratorio, uno strumento molto ingombrante, che poteva essere utilizzato solo negli ospedali; venne poi modificato per diventare portatile, versatile e affidabile.

 

Nel 1937, il medico giapponese Tarō Takemi inventò la prima macchina elettrocardiografica portatile e nel 1948 venne scritto il primo trattato italiano di elettrocardiografia da Daniele Sibilia.

Sebbene i principi di base di quell’epoca siano tuttora in uso, molti progressi sono stati fatti nell’elettrocardiografia nel corso degli anni. Nel tempo la strumentazione si è notevolmente evoluta e sono disponibili sistemi elettronici compatti che spesso includono l’interpretazione computerizzata dell’elettrocardiogramma.