Studio Legale Stefanelli&Stefanelli “Il payback dei dispositivi medici: un nodo che continua ad essere irrisolto”

Avv. Andrea Stefanelli – Avv. Silvia Stefanelli

La recente sentenza del TAR Lazio del 7 maggio 2025 ha respinto i ricorsi presentati da alcune aziende produttrici di dispositivi medici, confermando l’obbligo di partecipare al ripiano degli sforamenti dei tetti di spesa sanitaria per gli anni 2015-2018; vi sono ancora molti giudizi pendenti, ma l’esito sarà, del tutto presumibilmente, analogo.

È una decisione che lascia un retrogusto amaro e, soprattutto, conferma quanto sia difficile – nonostante anni di contenziosi, pronunce della Corte Costituzionale e promesse di riforma – trovare una soluzione equa e sostenibile al problema del payback.

Le associazioni di categoria stanno già ragionando con le aziende se impugnare davanti al Consiglio di Stato.

Si apre così un nuovo capitolo in una vicenda che da anni incide profondamente sul settore dei dispositivi medici, generando incertezza, contenziosi e preoccupazioni per la tenuta economica delle imprese e per la stessa efficienza del Servizio Sanitario Nazionale.

 

Un meccanismo controverso

Introdotto nel 2015 con l’art. 9-ter del D.L. n. 78, il meccanismo del payback prevede che le aziende fornitrici di dispositivi medici contribuiscano al ripiano degli eventuali sforamenti regionali del tetto di spesa. Ma sebbene la norma sia in vigore da anni, la sua applicazione è rimasta sospesa fino al 2022, quando sono stati finalmente certificati gli scostamenti e avviate le richieste di pagamento alle aziende.

Le percentuali di ripiano – 40% per il 2015, 45% per il 2016 e 50% dal 2017 – sono scattate in maniera retroattiva, su fatturati generati anni prima e in base a gare pubbliche i cui esiti, quantitativi e prezzi erano determinati dalle stazioni appaltanti. Un’impostazione che molte imprese giudicano iniqua e contraria alla logica stessa del mercato regolato degli appalti pubblici.

 

La Corte Costituzionale e i suoi chiaroscuri

Il TAR Lazio, nel novembre 2023, aveva rimesso alla Corte Costituzionale le questioni di legittimità della normativa. La Consulta, con due sentenze pubblicate il 22 luglio 2024, ha offerto una risposta articolata.

Da un lato, con la sentenza n. 140/2024, ha riconosciuto la legittimità del meccanismo del payback, definendolo un “contributo di solidarietà” per fronteggiare le criticità finanziarie del sistema sanitario. Dall’altro, con la sentenza n. 139/2024, ha censurato la parte della normativa che prevedeva la riduzione dell’importo dovuto (dal 100% al 48%) solo per le aziende che avessero rinunciato ai ricorsi: la riduzione va estesa a tutte le imprese, indipendentemente dalla scelta di contenziare o meno.

Una pronuncia parzialmente favorevole, che però non ha modificato l’impianto generale del sistema.

 

Il giudizio del TAR Lazio e la prospettiva del ricorso

Il pronunciamento del TAR del 7 maggio scorso si colloca in questo solco.

Il Tribunale ha ritenuto che le imprese dovessero essere consapevoli del meccanismo fin dal 2015, sostenendo che avrebbero potuto “orientare i propri comportamenti” di conseguenza.

Una posizione che le associazioni contestano fermamente: le imprese, ribadiscono, non avevano accesso ai dati di spesa nazionale e non potevano prevedere né l’ammontare dello sforamento, né la quota di partecipazione loro attribuita.

La sentenza rischia di avere effetti pesanti su un comparto già sotto pressione, aggravati dall’obbligo aggiuntivo di versare annualmente lo 0,75% del fatturato SSN per alimentare il fondo per il governo dei dispositivi medici. Anche contro questa misura pende un contenzioso.

 

Conclusione

Il timore condiviso dalle aziende è che il payback, così come strutturato, possa determinare un effetto domino: rallentamento degli investimenti, uscita di operatori dal mercato, perdita di competitività e difficoltà nell’approvvigionamento dei dispositivi essenziali. Si colpisce il fatturato, non l’utile. Si agisce retroattivamente su contratti già eseguiti. Si mina la certezza del diritto.

Serve, lo dicono in molti, una riforma strutturale. Il payback non può essere la soluzione permanente a uno squilibrio che è sistemico. Il Ministro Giorgetti ha parlato di “un cerotto su un’emorragia”, riconoscendo implicitamente che il problema va affrontato alla radice, con strumenti diversi e condivisi.

Il comparto dei dispositivi medici – strategico per l’innovazione, la salute dei cittadini e la tenuta del SSN – si trova oggi stretto tra regole che ne comprimono la sostenibilità e l’assenza di una visione di lungo termine. La sentenza del TAR Lazio rappresenta un passaggio importante, ma non l’ultimo. La partita è tutt’altro che chiusa.

Lo sguardo ora è rivolto al Consiglio di Stato, nella speranza che possa ancora esserci margine per un riequilibrio più equo e conforme ai principi di diritto, a beneficio non solo delle imprese, ma dell’intero sistema salute.