Il Professor Franco Mosconi è docente presso la facoltà di scienze-economiche aziendali dell’Università di Parma, importante economista e profondo conoscitore del Distretto Biomedicale Mirandolese, a lui abbiamo fatto due domande su temi di stretta attualità.
Per sviluppare una capacità manifatturiera ci vuole molto tempo, ma per distruggerla basta poco.
È quello che è successo nella produzione di dispositivi di protezione individuale, oggetti di poco valore ma essenziali che non è più conveniente produrre in Europa e che quindi sono diventati improvvisamente introvabili e preziosi.
Quali insegnamenti può darci ciò che è accaduto per il futuro prossimo? “La reattività delle imprese italiane, e in particolare emiliane e del distretto di Mirandola, è venuta fuori prepotentemente in questi giorni. Tra le aziende che si sono messe subito a produrre mascherine e dispositivi di produzione individuale ci sono, non casualmente, imprese mirandolesi e bolognesi, poi c’è anche la reattività e la generosità di tante imprese di altre regioni che si sono convertite. L’economia non è una scienza esatta, ma su questo gigantesco tema dobbiamo capire che si sta andando verso tre grandi poli produttivi mondiali, tre grandi macroregioni: una basata in Europa, una in Cina e nel sud-est asiatico e una in America, negli Stati Uniti. Ognuna di queste tre macro aree tenderà a diventare autosufficiente nella produzione di prodotti sensibili per la salute e la cura delle persone. Nella tutela e nella prevenzione della salute, il nuovo Coronavirus ci insegna che non bisogna dare nulla per scontato. E’ triste dover trarre un piccolo insegnamento da una vicenda che miete migliaia di morti al giorno solo in Europa, ma questo insegnamento credo rimarrà nella testa della classe dirigente, se non di quella politica, certamente di quella imprenditoriale, che è abituata tutti i giorni a confrontarsi con il mondo e sa quello che si può e si deve fare. L’Europa con le sue competenze scientifiche e manifatturiere ha tutte le potenzialità per diventare una grande macro regione che lungo la frontiera tecnologica, chiamata scienza della vita, può e deve essere autosufficiente”.
Il biomedicale lavora per più del 90% con il settore pubblico della sanità, come cliente finale. Le gare d’appalto tengono conto del prezzo più basso e valutano zero il valore del produttore, la sua competenza, affidabilità e vicinanza. Va bene così?
“No, occorre cambiare. Non solo occorre riportare la spesa sanitaria ai livelli medi dei Paesi dell’Unione Europea, visto che siamo sotto, ma anche cambiare le procedure di appalto perché quando si devono fornire agli ospedali macchinari e dispositivi che salvano la vita delle persone il criterio non può essere solo il massimo ribasso. Un’impresa che è diventata più brava di un’altra nel fare una certa cosa lo è perché ha investito e non può essere tutto gettato “alle ortiche” con la regola del massimo ribasso, dove vincono anche dei ‘furbetti’. E’ una situazione “profondamente triste” ed è inaccettabile non cambi l’andamento, va fatto un cambio di passo”.