Tutelare le proprie idee deve diventare parte integrante del core business di ogni azienda. È questo il messaggio uscito dal convegno sul Brevetto unico europeo, organizzato da Confindustria Modena
L’innovazione e l’internazionalizzazione sono strumenti fondamentali per la crescita e la competitività delle imprese. Ma innovare non basta: se lo si fa senza tutelarsi si rischia di non riuscire a sostenere la competizione. Tutelare tramite brevetto le proprie idee deve diventare dunque parte integrante del core business di ogni azienda. È questo il messaggio uscito dal convegno sul Brevetto unico europeo, organizzato da Confindustria Modena, in collaborazione con Confindustria nazionale, a cui hanno partecipato i massimi esperti del settore.
Il Brevetto unitario europeo, rappresenta un’importante novità che permetterà alle aziende di ridurre i costi e di semplificare l’accesso alla brevettazione. Con questo strumento infatti, le aziende con una sola richiesta all’Ufficio Europeo dei brevetti potranno ottenere un titolo valido a livello comunitario e proteggere la propria invenzione in tutta l’Ue, senza dove richiedere il riconoscimento a livello nazionale in ogni singolo Stato.
L’Italia, invece, non ha aderito al brevetto unico. Una sintesi dura ma efficace della situazione attuale viene da Matteo Borsani, responsabile Proprietà intellettuale presso la delegazione di Confindustria all’Unione europea, che ha moderato il dibattito: «A causa dei forti ritardi all’adesione al brevetto unico, l’Italia in questo momento ha uno status di mero “osservatore” al tavolo negoziale dove gli altri Paesi europei stanno decidendo la ponderazione dei criteri di ripartizione delle tasse sui brevetti. Mentre noi perdiamo tempo a discutere cosa fare, gli altri Paesi della Ue stanno decidendo importanti questioni economiche che riguardano il rinnovo dei brevetti unici europei. Se continuiamo a tergiversare, quando noi ci siederemo al tavolo, gli altri avranno già deciso, anche per noi».
«Le imprese italiane, pur dichiarandosi innovative, brevettano ancora poco», ha sottolineato Giovanni Messori, direttore di Confindustria Modena, «Basti pensare che nel 2013 l’Ufficio europeo dei brevetti ha ricevuto circa 4.900 domande dall’Italia a fronte di circa 31.300 dalla Germania. Le piccole e medie imprese percepiscono spesso il brevetto come un rischio e un costo per loro troppo oneroso».
Pier Giovanni Giannesi, presidente del Gruppo di lavoro sulla Proprietà intellettuale di Confindustria e senior advisor Proprietà intellettuale di Pirelli, ha confermato questa osservazione, rilevando come «l’adesione al Brevetto unitario europeo da parte del nostro Paese permetterebbe un notevole abbattimento dei costi sostenuti dalle singole aziende per brevettare le proprie innovazioni». «I costi dei brevetti devono essere pensati in relazione ai vantaggi competitivi che portano alle aziende. È da ricordare che oggi un’azienda italiana per depositare un brevetto su tutto il territorio europeo può arrivare a spendere più di 300 mila euro, contro i 40 mila euro che spende un azienda americana o ai 30 mila di un’azienda cinese. Il brevetto unico può diventare dunque uno strumento strategico specialmente per quelle pmi che pur facendo innovazione hanno poche risorse da investire nella loro tutela».
L’Italia deve cambiare la sua posizione: lo conferma anche Margot Fröhlinger, principal director per Patent law e multilateral affairs dello European patent office. «Stando agli ultimi dati sull’innovazione, forniti dall’Ue, emerge che l’Italia, a differenza di altri Paesi, innova ancora poco, salvo i casi di regioni virtuose come l’Emilia-Romagna, il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia. La problematicità con cui è vissuto il brevetto in Italia è evidenziata anche dal calo del 3 per cento delle domande italiane di brevetti depositate presso l’Ufficio europeo. Un segnale chiaro di quanto sia forte la necessità di trovare strumenti efficaci, come il brevetto unico, per convincere le imprese a innovare e a brevettare di più».
Ma anche in Italia esistono casi di aziende virtuose, che fanno innovazione e che sanno tutelare le proprie idee e che vedono il brevetto «non solo come strumento di tutela ma come un investimento strategico sul lungo periodo, come sottolinea Ruggero Cadossi, presidente di Igea, azienda modenese che opera nel settore biomedicale. «Ho sempre considerato il brevetto come una scelta strategica, non solo un mezzo per salvaguardare un’idea e per proteggerla dalla concorrenza ma anche un asset importante per aumentare il valore e i margini della mia azienda e per garantirne lo sviluppo futuro».
E ci sono aziende che grazie a un brevetto sono nate: come Tetra Pak, che grazie a un’idea del suo fondatore Ruben Rousing nel 1944 ha depositato il suo primo brevetto e da allora, continua a innovare e a tutelare le proprie innovazioni. Pietro Leonelli, patent Counsel dell’azienda, spiega: «i beni immateriali per un’azienda hanno un valore altissimo, spesso maggiore di quelli materiali e per proteggerli l’unica via è tramite brevetto. In Tetra Pak “educhiamo” molto i nostri dipendenti all’ innovazione e di conseguenza anche verso la tutela delle idee».
Marina Tavassi, presidente della Sezione impresa del Tribunale di Milano, ha approfondito l’altrettanto rilevante tema della Corte unificata dei brevetti: «L’istituzione di questa corte consentirà finalmente un sistema giurisdizionale unitario per le controversie in materia brevettuale».
Fonte: www.emmeweb.it