Il mondo odontoiatrico è piuttosto variegato, sia perché costituito da specialisti in branche diverse dell’odontoiatra (conservativa, implantologia, parodontologia…) sia per l’eterogeneità delle strutture professionali, che spaziano dal piccolo studio alle strutture più complesse che raggruppano più professionisti con specialità e competenze molto diverse tra loro. Alcuni odontoiatri, inoltre, operano anche nel contesto di strutture ospedaliere e/o universitarie. Molti sono membri delle diverse società scientifiche che promuovono la conoscenza nel contesto di una determinata branca del settore. Questa eterogeneità fa sì che le motivazioni che spingono a pubblicare possano essere molteplici. La chiarezza di intenti e la consapevolezza delle proprie capacità sono fattori chiave nel disegno di un percorso di pubblicazione perseguibile e coerente. L’affiancamento di consulenti esperti in comunicazione scientifica e medical writing può essere uno dei modi per raggiungere i propri obiettivi.
Fermo restando il desiderio di condividere specifici passi del proprio percorso clinico che possano essere utili a colleghi e pazienti, le ulteriori motivazioni che possono spingere l’odontoiatra a voler pubblicare un articolo scientifico possono essere molteplici, e possono giustamente coinvolgere anche il desiderio di posizionarsi nella community odontoiatrica, accademica o meno, in modo consono e commisurato alla propria capacità clinica: la volontà di essere presenti sulle riviste del settore può quindi essere quella di segnare un punto di arrivo importante della propria carriera o quello di acquisire la giusta luce, anche nel contesto della gestione di rapporti di collaborazione con le aziende operanti nel settore, od altre ancora.
Intraprendere un percorso di pubblicazione è certamente un momento importante nella vita dell’odontoiatra, in cui spesso si mettono a fuoco le proprie esigenze specifiche; e il percorso stesso, che potrà articolarsi poi diversamente da professionista in professionista, potrà contribuire – se completamente consapevole – a definire in modo anche rilevante la propria identità e carriera professionali.
La motivazione personale, la propria capacità clinica, la rete delle relazioni, e molti altri fattori porteranno l’odontoiatra a decidere di pianificare ed intraprendere un percorso di pubblicazioni. In taluni casi in autonomia, in altri in collaborazione con altri colleghi, anche in un contesto accademico. Quanto potrà produrre, si potrà sintetizzare – del tutto a grandi linee – in tre tipi principali di raccolta di dati e relativa pubblicazione: la documentazione di un singolo caso, lo studio retrospettivo e lo studio prospettico.
Il case report, per definizione, riguarda un solo caso e un solo paziente. Solitamente, si scrive un case report quando si vuole divulgare la singolarità di una determinata situazione clinica, sia essa una specifica condizione anatomica o una particolare procedura operativa.
In questo tipo di articolo la documentazione fotografica è essenziale, perché destinata a descrivere in dettaglio la particolarità della condizione del paziente o l’operatività clinica, passo dopo passo.
Chiaramente, il case report non può e nemmeno vuole dare un’indicazione generale: il suo fine è “mettere agli atti” l’esistenza di quel determinato caso “anomalo” e condividerlo con la comunità odontoiatrica, al fine di creare una letteratura di riferimento, nel caso quella situazione dovesse presentarsi anche ad un altro professionista.
Lo studio retrospettivo ha l’obiettivo di indagare una situazione al fine di raggiungere una conclusione che, possibilmente, abbia una portata clinica generale – cioè estendibile almeno in parte altri pazienti. È detto retrospettivo in quanto oggetto di analisi sono dati già raccolti. Tipicamente, si selezionano le cartelle cliniche di quei pazienti già trattati, che avevano determinate caratteristiche; sebbene i criteri di inclusione ed esclusione siano espressi in termini di caratteristiche dei pazienti, non viene reclutato attivamente alcun paziente e, di fatto, ci si limita ad estrarre i dati di interesse tra quelli già disponibili. Su questi saranno eseguite opportune analisi statistiche al fine di studiare l’ipotesi o le ipotesi cliniche oggetto di studio. La validità delle conclusioni raggiunte sarà commisurata alla qualità dei dati estrapolabili e sarà condizionata, in modo più o meno rilevante, dall’eterogeneità dei pazienti che si sarebbe potuta eliminare solo reclutandoli adottando a priori specifici criteri di inclusione ed esclusione. Solitamente, gli studi retrospettivi sono condotti su dati relativi a pazienti trattati secondo la normale pratica clinica. Non per questo non richiedono che un comitato etico ne valuti l’adeguatezza, pur essendo solitamente l’iter di approvazione piuttosto snello.
L’odontoiatra che volesse pubblicare uno studio retrospettivo dovrebbe interrogarsi sulla rilevanza clinica del quesito che vuole indagare, sulla bontà e numerosità dei dati a propria disposizione, sulla loro completezza in relazione all’argomento di interesse, sulla sua capacità di utilizzare le tecniche statistiche opportune in relazione all’obiettivo dello studio. La corretta esecuzione di uno studio retrospettivo – anche se apparentemente semplice in quanto non prevede alcun reclutamento attivo – dovrebbe comunque prevedere la stesura di un protocollo di studio, la definizione a tavolino del piano di analisi statistica, il calcolo della numerosità dei dati necessaria (attraverso la tecnica statistica della power analysis) affinché i risultati ottenuti abbiano solidità statistica.
Ai fini della corretta conduzione di uno studio di questo tipo, la documentazione iconografica gioca un ruolo solitamente meno importante di quanto non faccia invece la qualità del dato. Tuttavia, una sequenza di immagini esemplificativa dei momenti rilevanti della clinica e di alta qualità è solitamente una componente non di secondo piano nella scelta dei revisori di accettare o meno l’articolo per la pubblicazione nella rivista prescelta.
I limiti dello studio retrospettivo sono superati attraverso la conduzione di studi prospettici, nei quali l’adozione di specifici criteri di inclusione ed esclusione conduce al reclutamento di pazienti con caratteristiche più omogenee evitando così – almeno in parte, ma certamente più di quanto sia possibile fare analizzando dati in modo retrospettivo – che il risultato dello studio possa essere influenzato dalla presenza di fattori confondenti.
Anche lo studio prospettico richiede che, prima della sua conduzione, sia redatto un preciso protocollo; una power analysis preliminare permetterà di verificare la fattibilità dello studio in termini di possibilità reale di reclutamento del numero di soggetti necessario. Il numero di soggetti da reclutare condizionerà infatti, a volte anche pesantemente, l’onere organizzativo. Al di là dei casi di completa infattibilità dovuta alla necessità di reclutare un numero di soggetti chiaramente proibitivo, si pensi – a titolo di esempio – alla scelta di attivare studi multicentrici: più centri potranno reclutare più soggetti, e i risultati saranno meno affetti da quanto può accadere in uno solo dei centri, tuttavia l’onere organizzativo sarà evidentemente maggiore. Per ciascuno dei centri, inoltre, si dovrà interpellare il comitato etico di riferimento, con un aggravio dei tempi per l’attivazione dello studio.
In generale, e semplificando, le fasi di uno studio prospettico sono le seguenti:
Lo studio prospettico presenta numerose varianti di disegno sperimentale. Se comparativo, può fare uso della randomizzazione, della conduzione in singolo, doppio, triplo cieco, o dell’adozione di specifici disegni sperimentali ideati ad hoc.
L’odontoiatra che desidera condurre o partecipare ad uno studio di tipo prospettico deve assicurarsi di potere gestire l’onere organizzativo che uno studio di questo tipo comporta nel contesto dell’organizzazione della propria struttura (qualora lo studio non giunga a coinvolgere specifici prodotti per i quali è per legge necessario che esso sia condotto presso strutture con caratteristiche specifiche, quali gli IRCSS o simili). La complessità è infatti tale che gli studi prospettici, spesse volte, rimangono appannaggio delle strutture cliniche universitarie o simili.
La rivista sulla quale si punterà a pubblicare dovrebbe essere, in ogni caso, identificata – almeno per tipologia e diffusione – fin da principio: con profonda consapevolezza di quanto ci si accinge a fare, e di quanto si presume si otterrà in termini di rilevanza clinica e solidità di risultato (da confermarsi, chiaramente, acquisiti ed analizzati i dati). Questo anche in relazione alle motivazioni che spingono alla pubblicazione, a partire da quelle più spiccatamente cliniche a quelle più soggettive.
Le riviste target saranno quindi valutate in termini di diffusione nazionale o internazionale, presenza/assenza di indicizzazione e fattore di impatto (impact factor); presenza o assenza di peer reviewing.
Il consiglio principe può essere riassunto in “chiarezza di intenti e piena consapevolezza delle proprie capacità”: solo così si potrà comprendere se vale la pena intraprendere un percorso e, in caso affermativo, quale questo possa essere. Può essere utile che l’odontoiatra venga affiancato da un consulente esperto in medical writing e comunicazione scientifica che lo aiuti in una o più delle fasi del percorso: a partire dalla definizione, se non già compiuta, del piano strategico complessivo a quelle più prettamente operative ovvero stesura di protocolli, conduzione di power analysis, dialogo con comitati etici, analisi statistiche, redazione di report, stesura di manoscritti, scelta della rivista target, gestione della sottomissione.