Questo articolo propone una breve sintesi di quanti modi possano esistere per creare strumenti di comunicazione a partire da un singolo articolo clinico.
La domanda, che potrebbe anche avere un significato solo di tipo culturale, assume una particolare importanza quando calata nel contesto della comunicazione di un’azienda del settore life science e della cura della persona. Le aziende che operano in questo settore, trattino esse farmaci, dispositivi medici, cosmetici, integratori o altro, infatti, “vivono” il dato clinico sotto due differenti punti di vista, tanto da poterlo veramente raffigurare, mentalmente, come un Giano bifronte: da un lato, infatti, vi è la necessità di generare il dato clinico in un contesto di validazione di prodotto, al fine di verificare che questo sia effettivamente sicuro ed efficace come deve essere (e, da questo, ne consegue poi il suo significato regolatorio); dall’altro, il dato clinico che dimostra sicurezza ed efficacia è il “suggello” di verità in relazione alla comunicazione relativa al prodotto.
L’articolo clinico giace lì, tra questi due poli. È un oggetto “nobile” (in quanto pubblicato), ma – pur apportando sostanza sia alla validazione del prodotto che alla comunicazione che lo riguarda – non lo fa con vera efficacia rispetto nessuno dei due. Dal punto di vista della validazione del prodotto, della ricerca e sviluppo e degli affari regolatori, l’articolo, infatti, appartiene al passato: prima della sua pubblicazione il dato era già stato acquisito, i risultati dello studio erano già noti, ed erano già stati interpretati all’interno dell’azienda per il loro significato in termini di validazione di prodotto e per il loro peso regolatorio. Dal punto di vista della comunicazione commerciale, è notorio che esso da solo servirà a ben poco, se non a nulla: lasciato al medico, solitamente giacerà sulla sua scrivania intoccato; in un manuale per l’informatore, se il suo contenuto non sarà spiegato adeguatamente, resterà un paio di linee in un elenco – già forse molto nutrito – di riferimenti bibliografici.
Come tutti gli oggetti “di mezzo” l’articolo, in realtà, si esprime solo se viene trasformato e trasposto in una forma che sia più vicina a uno dei due poli dove può trovare la sua vera valorizzazione. Vediamone assieme alcuni, nel breve elenco che segue.
Il mondo della validazione/regolatorio
Già dalla breve descrizione che abbiamo dato di questi oggetti appare chiaro come le possibilità siano molteplici e legate in sintesi al destino che vogliamo dare al dato clinico raccolto: cosa vogliamo che esprima, come vogliamo esprimere questo contenuto, a chi vogliamo trasmetterlo e attraverso quali canali. Differenze anche minime, infatti, possono cambiare completamente la natura dell’oggetto di comunicazione o dell’oggetto di validazione preparato.
Per potere sfruttare al meglio questa “tavolozza” di possibilità, è necessario affinare e poi impiegare simultaneamente competenze diverse. Ciascuno degli oggetti descritti infatti ha, ad esempio, un testo differente – non solo per contenuto (nell’oggetto finito si ritroveranno messi in luce maggiormente – nei diversi casi – alcuni contenuti dell’articolo originale, mentre altri verranno volutamente tralasciati) – ma anche per linguaggio: questo, più o meno tecnico per terminologia, sarà modulato anche – e volutamente – nel tono. Questo sarà vero per il testo scritto, e ancor più lo diverrà per la trasformazione grafica dei contenuti. La necessità, nell’operare questa trasformazione, che siano “messe in campo” contemporaneamente diverse competenze fa sì che alcuni di questi oggetti possano essere realizzati solo in team e non da un’unica risorsa.