“Appalti senza gara ed abuso d’ufficio: il nuovo limite introdotto dal Codice degli appalti si applica retroattivamente?” a cura dello Studio Legale Stefanelli&Stefanelli

[Cass.Pen. 19/4/2024 n. 16659]

Con la sentenza 19/4/2024 n. 16659 la suprema Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema del rapporto tra il reato ex art. 323 cod.pen (abuso d’atti d’ufficio) e l’affidamento di un appalto senza gara di valore pari a 112.000 €, prima soprasoglia ed oggi, invece, sotto la soglia prevista di legittimo affidamento diretto.

Risulta infatti che l’art. 36 del D.Lgs.n. 50/2016 (precedente Codice di contratti pubblici) prevedeva la possibilità d’affidamento diretto (senza previa consultazione di almeno due operatori economici) di lavori, servizi e forniture d’importo inferiore a 40 mila euro (comma 2, lett. a), mentre il “nuovo” Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 36/2023) diversamente dispone, all’art. 50, che è possibile affidare senza gara fino a 150 mila per lavori pubblici e fino a 140 mila per forniture e servizi (comma 1, lett. a).

Ciò posto, occorre allora domandarsi se è ancora punibile il legale rappresentante di una società in house che ha affidato – nella vigenza del precedente Codice appalti – senza procedura un servizio di valore superiore alla vecchia ma inferiore alla nuova soglia e la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha “salvato” l’imputato annullando la sentenza di condanna di 2°  grado,  sul presupposto che  il fatto  non è più previsto dalla legge come reato

Il quadro di riferimento normativo

Il reato di abuso di ufficio ha una vita travagliata e ha subìto, nel corso degli anni, molteplici interventi normativi, con l’obiettivo di garantire tipicità alla fattispecie e di tentare una possibile definizione dei contorni della punibilità.

L’attuale formulazione dell’art. 323 c.p. prevede che «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni».

Già con il Decreto Semplificazioni nel 2020 (avvallato anche dalla Corte Costituzionale con la pronuncia 18/1/2022, n.2) il Legislatore ha cercato di ridurre l’area di operatività dell’incriminazione, ritenendo rilevante la violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”, sostituendo la precedente e più ampia locuzione (“violazione di norme di legge o di regolamento”) che aveva creato non pochi problemi applicativi soprattutto nel periodo emergenziale, andando ad espungere in toto i regolamenti e la violazione di regole di condotta, caratterizzate da margini di discrezionalità.

E’ bene inoltre precisare come l’art. 323 c.p. sia una cd.  “norma penale in bianco”, ovvero una norma dal cui contenuto non è dato evincere, con immediatezza ed in maniera integrale, quali siano le condotte oggetto di rilevanza penale ai fini dell’integrazione della fattispecie delittuosa; per “riempire” dunque tale apparente vuoto, il Legislatore fa rinvio a norme “extra-penali” che, lette in combinato disposto con l’articolo in esame, permettono di delimitare il perimetro entro il quale le condotte assumono rilevanza delittuosa.

Non da ultimo pregia evidenziare come solo pochi mesi la Commissione Giustizia del Senato ha approvato il “DDL Nordio” che abroga il reato di abuso di ufficio, ormai prossimo al voto alla Camera.

 

La pronuncia della Cassazione Penale 19/4/2024 n. 16659

Come evidenziato l’art. 50, comma 1 lett. b) del nuovo Codice Appalti ha previsto che la stazione appaltante oggi possa procedere all’affidamento diretto dei contratti di beni e servizi d’importo inferiore a 140.000 euro, così innalzando il precedente limite di ben 100.000 euro.

Ma cosa accade oggi per gli affidamenti oltre soglia avvenuti nella vigenza del pregresso limite previsto di (soli) di 40.000 euro  ?

In altri termini può oggi considerarsi ancora punibile un abuso d’ufficio commesso in passato violando la normativa di settore all’epoca vigente in materia di appalti, se quella stessa condotta non è pìu’ sanzionabile ai sensi del Nuovo Codice in vigore dal 1 aprile 2023 ?

Posto come, nel caso all’attenzione della Cassazione, il valore dell’appalto  conferito con affidamento diretto era 112.176 euro, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che «In definitiva,  a seguito della citata novella in punto di disciplina dei contratti pubblici e per la parte riconducibile alla modifica, il fatto commesso dal ricorrente ha cessato di costituire reato, ex art. 2, comma 2, cod. pen.».

Se la Cassazione è potuta giungere a tale conclusione lo si deve all’aver riconosciuto al succitato art. 50 del D.Lgs.n. 36/2023 la funzione, rispetto al reato di abuso d’ufficio, di «norma integratrice»; ovverosia norma del tutto imprescindibile per completare la fattispecie delittuosa così riempiendola di senso.

“Avendo infatti l’art. 323 cod. pen. – conclude la Cassazione – la struttura di una norma prevalentemente in bianco, la condotta può essere identificata soltanto mediante il riferimento alla violazione di leggi concernenti il comparto della pubblica amministrazione, sicché la legge extra-penale finisce con il riempire di senso il precetto penale.”

Ne consegue che la modifica della norma extra-penale (l’art. 50 D.Lgs 36/2023) ad esso collegata, «reagisce immediatamente sul giudizio di disvalore espresso mediante la posizione della fattispecie: nella vicenda concreta, facendolo venir meno».

E’ così applicare il principio “penalistico” di cui all’art. 2, comma 2 cod.pen. secondo cui  Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore non costituisce reato”, in ossequio al principio del favor rei.

Considerazioni conclusive (anche alla luce della oramai prossima e possibile abrogazione del reato d’abuso d’ufficio)  

La decisione in commento apre ad interessanti scenari circa i profili di difesa dell’imputato in procedimenti analoghi.

Riconoscendo infatti la possibilità di avvalersi delle nuove soglie per l’affidamento diretto entrate in vigore nel 2023 anche per fatti precedenti, è evidente che qualora l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16659/2024 dovesse trovare conferma anche in successive  pronunce, tutte quelle condotte consistite nell’affidamento diretto di contratti per importi inferiori a 140.000 € (per i contratti di servizi e forniture) e 150.000 € (per quelli di lavori) cesserebbero di avere rilevanza penale.

Una apertura, questa, che di certo sembra andare nella direzione del DDL Nordio, che presto sarà all’esame alla Camera nell’ottica di una diretta abrogazione della fattispecie di abuso di ufficio.

Avv. Laura Asti