[Consiglio di Stato, Sez. III, Sent. 26/4/2024 n. 2866]
La sentenza oggi in commento riveste notevole importanza sia per gli operatori economici che per le stazioni appaltanti, contenendo un vero e proprio monito per un’attenta applicazione del principio di risultato.
Il Consiglio di Stato veniva chiamato a pronunciarsi su una sentenza emessa dal Tar Milano con cui era stato disposto l’annullamento di un’aggiudicazione della fornitura di attrezzature ospedaliere, per mancata idoneità dell’offerta dell’aggiudicatario a soddisfare il risultato voluto dalla S.A.
La fornitura aveva ad oggetto l’installazione di sistemi di anestesia e relativo materiale di consumo, tra cui, in particolare, “canestri di calce sodata”. Dalla lettura delle disposizioni del disciplinare e del capitolato si poteva desumere la possibilità di fornire canestri sia monouso che riutilizzabili, non essendo tuttavia specificato in maniera chiara se l’opzione di offrire canestri riutilizzabili comportasse necessariamente la fornitura anche della calce sodata, indispensabile al loro funzionamento.
Secondo la posizione dell’appellante, l’ambiguità delle disposizioni sul punto, lasciava spazio a due possibili interpretazioni per l’O.E.:
Rigettando in toto le doglianze dell’appellante, con la sentenza oggi in commento il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR lombardo e avalla la ricostruzione del giudice di prime cure dimostrando come, al fine di sciogliere logicamente il dubbio interpretativo, occorre privilegiare la prima delle due interpretazioni in astratto possibili.
Anzitutto, secondo il Consiglio, il fatto che la S.A. avesse voluto consentire la fornitura di entrambe le tipologie di canestri, era già un indice chiaro: per poter essere effettivamente comparabili sia dal punto di vista economico che di capacità tecnico prestazionali, i dispositivi candidati dovevano considerarsi allo stato “funzionante”.
In secondo luogo, in una disposizione del capitolato, sebbene non quella deputata alla descrizione della fornitura, la stazione appaltante affermava che l’obbligazione contrattuale era da intendersi come obbligazione di risultato e pertanto, doveva considerarsi inclusa ogni prestazione necessaria al perfetto funzionamento delle apparecchiature, anche se non espressamente prevista negli atti di gara.
Il Collegio sottolinea poi che, considerando il risultato atteso, come debitamente individuato dalla S.A. nella lex specialis, di reperire una “fornitura in opera perfettamente funzionante delle apparecchiature”, era da escludersi che potesse essere sufficiente la fornitura di soli canestri, privi della componente necessaria a renderli funzionanti.
Ma non solo. Anche la circostanza che l’Amministrazione avesse scelto di tarare la procedura (non ancora soggetta al Codice 2023) sull’obiettivo del risultato, espressamente disponendo che si aveva di mira il conseguimento di una fornitura da impiegare immediatamente e senza condizionamenti, era un chiaro ed inequivocabile segnale della volontà di valorizzare tale profilo.
Inoltre, arginando un ulteriore argomento di censura, il Consiglio di Stato chiarisce che il principio del risultato non deve ritenersi in collisione con il principio di legalità; al contrario, la sua elevazione a principio interpretativo dell’intero codice, con il D.lgs. 36/2023, consente l’abbandono della concezione di queste come scelte discrezionali e perciò non sindacabili e, collateralmente, fa sì che una eventuale violazione delle stesse possa valere come vera e propria violazione di legge giustiziabile dal giudice amministrativo.
In definitiva, agli occhi del Massimo Consesso il principio del risultato diviene una delle stelle polari da cui farsi guidare in caso di poca chiarezza nelle previsioni capitolari, laddove a tali disposizioni sia possibile attribuire un solo significato che, secondo logica, conduca al risultato sperato.
Dott.ssa Elisa Colona