[TAR Roma, sentenza 3 giugno 2024 n. 11288]
La sentenza oggi in commento offre interessanti spunti sugli istituti finalizzati a promuovere la parità occupazionale di genere in ambito lavorativo e fatti propri dal nuovo Codice Appalti.
L’analisi del Giudice capitolino si focalizza, nello specifico, su:
Il rapporto sulla situazione del personale.
Normativa di riferimento.
Il D. Lgs. 198/2006 Codice delle pari opportunità, all’art. 46 sul “Rapporto sulla situazione del personale” afferma che:
“Le aziende pubbliche e private che occupano ((oltre cinquanta dipendenti)) sono tenute a redigere un rapporto ((…)) ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”.
Il D.L. 77/2021 (convertito con L. n. 108/2021) sulla “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, recepisce all’art. 47 co. 2 la norma di cui sopra disponendo che:
“Gli operatori economici tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale, ai sensi dell’articolo 46 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, producono, a pena di esclusione, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta, copia dell’ultimo rapporto redatto, con attestazione della sua conformità a quello trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità ai sensi del secondo comma del citato articolo 46, ovvero, in caso di inosservanza dei termini previsti dal comma 1 del medesimo articolo 46, con attestazione della sua contestuale trasmissione alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità”.
Il nuovo Codice Appalti 2023 ha infine recepito l’art. 47 co. 2 del D.L. 77/2021 prevedendo tra le cause di esclusione automatica proprio la mancata presentazione del rapporto sulla situazione del personale di cui all’art. 46 D.lgs. 198/2006.
L’art. 94 D.lgs. 36/2023 co. 5 lett. c) statuisce infatti che: “…Sono altresì esclusi:
La questione affrontata dal TAR Roma.
Nel caso oggi in esame, il TAR si pronuncia sulla obbligatorietà o meno di un nuovo rapporto sul personale in caso di “cambiamenti societari” – nello specifico di una cessione di ramo d’azienda e di un mutamento della ragione sociale – avvenuti in capo all’operatore economico prima della partecipazione alla gara.
Per quanto concerne il mutamento della regione sociale, il TAR evidenzia che tale cambiamento non può determinare l’obbligo di redazione di un nuovo rapporto sul personale. Infatti, la legge non richiede una nuova redazione del rapporto in ragione di tale elemento, avendo rilievo unicamente il fatto che questo sia stato rilasciato nel biennio di riferimento. Tale considerazione è confermata anche dalla giurisprudenza civile e tributaria, secondo la quale il (solo) mutamento della ragione sociale non comporta un mutamento dell’identità della società.
Anche per quanto riguarda l’acquisizione del ramo di azienda vale il medesimo ragionamento: dando la normativa rilievo unicamente all’aggiornamento biennale del rapporto, le operazioni societarie che non mutano il soggetto concorrente non determinano un obbligo di aggiornamento ma dovranno essere unicamente tenute in considerazione al momento della redazione del nuovo piano.
A detta del TAR infatti “…Le modifiche societarie intervenute fra la data del primo rapporto di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 198/2006 e la scadenza del rapporto successivo, e così via nei bienni seguenti, debbano trovare spazio e considerazione nel rapporto di successiva scadenza (in tal senso cfr. già Cons. Stato, sez. V, 22 agosto 2023, n. 7913)”.
D’altronde, a rendere infondata la tesi secondo cui qualsiasi variazione della compagine aziendale implichi sempre un aggiornamento del rapporto depone anche l’esigenza di non sottoporre le imprese ad oneri sproporzionati che potrebbero produrre l’effetto, certamente non auspicabile, di disincentivare le imprese ad effettuare nuove assunzioni.
Infine, sull’obbligo di produzione del rapporto (se in capo alla cessionaria o alla cedente), il TAR afferma invece che essendo previsto l’obbligo di produzione del rapporto solo in capo al concorrente – in questo caso la cessionaria di ramo d’azienda – nessun obbligo sussiste in capo anche alla cedente.
A diversa soluzione si sarebbe dovuti giungere nel caso in cui l’operazione fosse avvenuta dopo la presentazione delle offerte: in tal caso, infatti, l’ente pubblico avrebbe dovuto procedere alla verifica dei requisiti sia della cedente che della cessionaria.
La certificazione della parità di genere.
Normativa.
La Certificazione della parità di genere è stata introdotta dal legislatore nazionale con la Legge n. 162 del 5 novembre 2021 (legge Gribaudo).
Tale norma ha inserito nel Codice per le Pari Opportunità (D. Lgs. n. 198/2006), l’art. 46 bis, con cui si prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2022 le imprese possano dotarsi della Certificazione che attesti le misure in concreto adottate dal datore di lavoro per ridurre il divario di genere all’interno dell’azienda.
In particolare, ai fini del rilascio della Certificazione, sono valutate la possibilità di crescita, la parità salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.
Istituendo la Certificazione della parità di genere, il legislatore nazionale ha dato attuazione a quanto previso dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (“PNRR”), ove la parità di genere è una delle tre priorità trasversali insieme al sostegno ai Giovani, al Mezzogiorno ed al riequilibrio territoriale. Tali priorità sono perseguite attraverso un approccio integrato ed orizzontale, in tutte le Missioni che compongono il Piano.
Con specifico riferimento alla Certificazione, la Missione 5, Investimento 1.3 del PNRR, prevede proprio l’attivazione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, con l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità promuovendo la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese, riducendo il “gender pay gap” (“divario retributivo di genere” che indica la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini), aumentando le opportunità di crescita in azienda e tutelando la maternità.
Con Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità del 29 aprile 2022, sono stati definiti i parametri per il conseguimento della Certificazione, che potrà essere rilasciata unicamente da Organismi di Certificazione Accreditati.
Tale Decreto individua i parametri minimi per il conseguimento della Certificazione in quelli della prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, contenente “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni” e successive modifiche o integrazioni.
La prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 contiene criteri, prescrizioni e tecniche funzionali all’ottenimento della Certificazione e fornisce raccomandazioni che tengono conto di vari indicatori chiave di prestazione (i c.d. KPI o Key Performance Indicator ), relativi a sei aree fondamentali: cultura e strategia, governance, processi relativi alle risorse umane, opportunità di crescita ed inclusione femminile in azienda, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro, fornendo linee guida che mirano a monitorare gli obiettivi di parità di genere, colmare eventuali gap e produrre un cambiamento delle realtà aziendali solido e sostenibile.
La certificazione ai sensi della prassi UNI/PdR può essere richiesta da qualunque tipo di organizzazione, di qualsiasi dimensione e forma giuridica, operante nel settore pubblico o privato.
Il nuovo Codice Appalti all’articolo 108 co. 7 “Criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture” contiene un riferimento specifico alla Certificazione della parità di genere: le imprese che intendono vedersi riconoscere un maggior punteggio per aver adottato politiche tese alla parità di genere dovranno dimostrare di essere certificate (e non potranno presentare semplicemente un’autocertificazione come invece prevedeva la prima stesura del codice appalti).
Il nuovo testo richiede, come il previgente art. 95, comma 13, D.lgs. n. 50/2016, che l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere al fine del conferimento di un maggior punteggio possa essere comprovata solo dal possesso della certificazione di cui all’art. 46-bis del Codice delle pari opportunità; la novità è l’introduzione di una prassi UNI o Sistema di certificazione di stampo europeo per ottenere tale certificazione.
Appare importante segnalare che ad oggi le imprese che hanno deciso di dotarsi del c.d. “Bollino Rosa” sono 823 a poco più di dodici mesi dalla pubblicazione della Prassi di Riferimento UNI PdR 125:2022.
Le questioni affrontate dal TAR Roma.
Relativamente alla certificazione di parità di genere, il TAR Roma chiarisce come attribuire il punteggio premiale nel caso in cui a partecipare alla gara sia un Consorzio.
Nel caso in esame era infatti prevista una disposizione del Disciplinare sul punteggio premiale per possesso di certificazione di genere dal seguente tenore:
“Il concorrente dovrà essere in possesso di una Certificazione del sistema di gestione per la parità di genere UNI/PdR 125:2022 in corso di validità. Ai fini dell’attribuzione del punteggio relativo al presente sub-criterio il concorrente dovrà allegare la certificazione nell’apposita sezione nella Piattaforma Telematica e/o fornire gli estremi della Certificazione in corso di validità.
[…]
Si precisa che, in caso di consorzio partecipante, il possesso della Certificazione da parte della/e consorziata/e esecutrice/i qualifica il consorzio, indipendentemente dal numero delle consorziate esecutrici indicate”.
Ebbene, secondo il TAR, questa previsione va interpretata nel senso che il consorzio soddisfa il requisito anche se la Certificazione è posseduta da una sola delle consorziate. Ciò anche perché l’espressione “indipendentemente dal numero delle consorziate” non avrebbe alcun senso logico laddove la Stazione Appaltante avesse voluto imporne il possesso in capo a tutti i concorrenti, e ciò anche perché in tal caso l’ente pubblico avrebbe ben potuto fare ricorso a clausole esplicative ben più chiare.
A tale soluzione si giunge vieppiù sulla base del principio di favor partecipationis e della tutela della piccola e media impresa, in quanto richiedere il possesso della certificazione in capo ad ogni singola consorziata ne costituirebbe una violazione.
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Il TAR offre interessanti spunti anche su una seconda questione, relativa alla possibile equivalenza di Certificazioni.
La direttiva 2014/24/UE all’art. 44 limita l’equivalenza delle certificazioni espressamente richieste dalla Stazione Appaltante solo a quelle rilasciate da altri Stati membri, ma è evidente che l’intento del Legislatore sia stato quello di ammettere l’equivalenza anche di altri certificati, come dimostra l’art. 64 che, nel regolare gli elenchi ufficiali di operatori economici, parla espressamente di un obbligo di riconoscimento anche dei “mezzi di prova equivalenti”.
D’altronde, un’interpretazione ampia del principio di equivalenza della certificazione di genere si sposa anche col principio di risultato di cui all’art. 1 del Codice, evitando così quelli che (altrimenti) sarebbero vuoti formalismi.
Non a caso, anche secondo ANAC (Comunicato 30 novembre 2022) le Amministrazioni devono consentire la dimostrazione del requisito in esame con altri mezzi di prova ritenuti appropriati, a condizione che gli operatori economici dimostrino che le misure proposte soddisfano le norme di garanzia richieste.
Può quindi costituire adeguato mezzo di prova la presenza di un sistema di gestione per la parità di genere che preveda la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi al genere, oltre che la strutturazione e adozione di un insieme di indicatori prestazionali (KPI) inerenti le politiche di parità di genere adottate dall’impresa con riferimento alle diverse aree di interesse previste dalla Prassi di riferimento (Cultura e strategia; Governance; Processi HR; Opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda; Equità remunerativa per genere; Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro).
Gli impegni sociali.
Normativa.
L’art. 102 d.lgs. 36/2023 statuisce che:
“Nei bandi, negli avvisi e negli inviti le stazioni appaltanti, tenuto conto delle prestazioni oggetto del contratto, richiedono agli operatori economici di assumere i seguenti impegni:
La questione affrontata dal TAR Roma.
Per quanto concerne l’interpretazione della suddetta norma, a detta del TAR Capitolino vi è ampia libertà da parte della Stazione Appaltante nell’effettuare le verifiche sull’impegno dell’operatore a rispettare gli impegni sociali di cui all’art. 102 e spetterebbe al ricorrente dimostrare l’esistenza di vizi specifici, la cui denuncia, però, potrebbe risultare molto difficile in presenza di una valutazione generica, sfociando quindi in una probatio diabolica.
A monte, infatti, vi è il problema di una norma formulata con estrema genericità il cui contenuto può essere oggetto a svariate interpretazioni…
Questa, infatti, andrebbe letta in combinato disposto con l’art. 57 del Codice, con la conseguenza che troverebbe reale applicazione solo presupponendo la presenza in lex specialis di clausole sociali cui l’operatore è chiamato ad adempiere su espressa richiesta della Stazione Appaltante che ne ha fatto esplicito richiamo.
In conclusione, non si può non riconoscere in ogni caso l’evidente apertura che il Codice appalti ha voluto offrire alla politica occupazionale della c.d. gender equality, con l’auspicio che le norme del codice volte a promuoverla non restino disapplicate e si possa vedere un loro pratico riscontro negli affidamenti pubblici.
Avv. Eleonora Pettazzoni