Ieri, presso l’Auditorium di Mirandola, si è svolto l’incontro musicale e culturale dal titolo “Il malato nella sanità del futuro”.
Medici, istituzioni e tecnici hanno fatto emergere i punti di sviluppo necessari alla sanità nel nostro Paese, con un’attenzione speciale al malato: il paziente è al centro e la filosofia sanitaria deve passare dal “to cure” (curare) al “to care” (avere cura).
In un mondo in cui si assiste ad un progressivo invecchiamento della popolazione e ad un incremento di patologie croniche, l’obiettivo della sanità contemporanea è quello di trovare l’intesa tra la volontà di porre il paziente al centro e le risorse disponibili. Si assiste dunque all’ideazione di percorsi di prevenzione, diagnosi e cura sempre più organizzati. Inoltre, l’attuale situazione pandemica, ha accelerato la visione futura di una sanità che richiede una riorganizzazione, per essere più vicina al paziente anche in remoto.
È possibile pensare ad una organizzazione diversa delle cure, che metta il paziente al centro di un processo di nuova umanizzazione della medicina? È ipotizzabile un modello di integrazione Ospedale Territorio? Quali leve vi sono per migliorare la sostenibilità economica del SSN? Queste e molte altre sono state le domande oggetto dell’incontro musicale e culturale “Il malato nella sanità del futuro”, tenutosi oggi, presso l’Auditorium Rita Levi Montalcini di Mirandola, e promosso da Eurosets, azienda di Medolla specializzata nella progettazione, produzione e commercializzazione di dispositivi biomedicali.
L’incontro, che ha visto avvicendarsi medici, professori e dirigenti del panorama sanitario italiano per immaginare il futuro della sanità in Italia, è stato accompagnato dalla musica, linguaggio universale dalla medicina alla terapia, di Alessandra Fogliani al pianoforte, Elena Luppi alla viola e Tania Righi al violino.
Il malato nella sanità del futuro: quale la visione degli specialisti?
La medicina del futuro è personalizzata, a misura d’uomo, unisce qualità a sostenibilità, prevede una sanità dove le più moderne tecnologie incontrano le migliori competenze medico-scientifiche in un’organizzazione centrata sui bisogni del malato e con l’obiettivo di integrare persone, tecnologie e informazioni generando costantemente valore nella risposta ai bisogni di salute dei cittadini.
“In tutto il mondo ogni sistema sanitario sta lottando per garantire la migliore qualità delle cure dovendo mantenere la sostenibilità dei costi. Questo equilibrio è sempre più difficile da preservare – commenta il professor Massimo Massetti, Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Cardiochirurgia all’Università Cattolica -. Viviamo in un’epoca dove anche nelle migliori e più moderne strutture sanitarie, la cura del paziente viene realizzata ponendo al centro le esigenze dell’ospedale e non quelle del malato. In questo contesto, aggravato dall’attuale situazione pandemica, numerose questioni ci proiettano nel futuro per riflettere su come riorganizzare l’offerta di cura e la sanità nel suo complesso, per renderla personalizzata sul malato. L’ospedale del futuro e quindi la sanità che ci aspetta saranno basati sul malato, costruiti sull’obiettivo finale, ovvero la cura e la salute della persona”.
La cultura della salute deve partire da un lato dal singolo individuo, con un’accresciuta attenzione alla prevenzione e alla cura di sé, dall’altro all’implementazione di percorsi sanitari che consentano la continuità di cura per il paziente anche nel post operatorio. Un caso portato ad esempio durante l’incontro è quello della gestione dei pazienti affetti da patologie cardiovascolari e del percorso integrato di cura e riabilitazione a loro dedicato.
“L’integrazione della riabilitazione nel percorso cardiovascolare è un modello innovativo di cura che consente di garantire la continuità del recupero funzionale al malato – professoressa Alessia Rabini, UOC Cardiologia Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ricercatore Medicina fisica e riabilitativa, Università Cattolica campus di Roma -. L’innovazione di questo approccio è rappresentata dalla prehabilitation, un programma preoperatorio per i pazienti anziani fragili candidati ad intervento cardiochirurgico elettivo. Sulla base di una valutazione multidimensionale viene elaborato un programma da un team multidisciplinare centrato sul recupero funzionale, su quello nutrizionale e su quello psicologico. Il paziente viene preparato all’atto chirurgico come un’atleta ad una competizione affinché lo affronti al meglio delle proprie capacità. Questo consente di abbattere il rischio dell’intervento in termini di morbilità, mortalità e rischi di istituzionalizzazione ed è di fondamentale importanza per garantire al paziente la rapida reintegrazione nell’ambito socio familiare accorciando i tempi di degenza ospedaliera ed i relativi costi”.
Emerge così sempre più un nuovo umanesimo nel campo della medicina, incentrato sull’incontro tra medical technologies e medical humanities, ovvero tecnologie e umanità. Il prof. Mauro Cozzoli, Professore di Teologia Morale presso la Pontificia Università Lateranense e di Bioetica presso l’Università di Torino, con il suo intervento dal titolo “L’anima e il cuore nella cura” pone l’accento sul “progresso, favorito dai successi della ricerca scientifica e dall’innovazione tecnologica in campo biomedico, che ha portato a traguardi considerevoli sia in termini di guarigione che di qualità della vita. In questo contesto i sistemi organizzativi ospedalieri si sono evoluti verso un’organizzazione centrata sull’azienda ospedaliera e non sul paziente, che si trova a vivere oggi un percorso di cura frammentato senza chiari riferimenti a chi lo cura. Questa frammentazione della cura, e lo smarrimento del paziente che ne consegue, sono accresciuti dall’estrema specializzazione della medicina che distorce lo sguardo dal malato alla malattia. C’è bisogno di una ricentratura delle competenze mediche e della tecnologia sul malato, in un processo di riumanizzazione della medicina. In altre parole, occorre polarizzare l’attenzione dal “to cure” al “to care”: il primo approccio risponde a una medicina tecnicizzata, il secondo a una medicina olistica, che guarda al tutto, perché la relazione di cura non è limitata alla componente biologica della persona, ma coinvolge anche la parte emotiva e spirituale. Trovare l’equilibrio tra sostenibilità dei costi e una relazione di cura aperta, che implichi anche l’empatia verso il paziente, richiede una mens nuova: occorre un cambiamento in radice, che comincia dentro, nell’interiorità delle persone; e prende poi forma fuori, in una metodologia di cura che tenga conto di un insieme di fattori: lo stato emotivo del paziente, i suoi affetti, l’ambiente in cui viene curato incidono notevolmente sui processi di cura”.
L’incontro promosso da Eurosets ha poi previsto una seconda parte, un dibattito culturale sugli insegnamenti della pandemia Covid, sull’integrazione dell’Ospedale nel Territorio, sulla missione del SSN di ottimizzare cure e risorse, sulla tecnologia quale alleato nella gestione sanitaria.
Tra gli ospiti il dott. Ettore Sansavini, Presidente GVM Care & Research, il dott. Raffaele Donini, Assessore alle politiche per la salute della Regione Emilia Romagna, il prof. Marco Elefanti, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e il dott. Lorenzo Galletti, Direttore Cardiochirurgia, Cardiologia e Trapianto Cuore-Polmone all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
“A fronte di una pandemia la gestione di un Policlinico Universitario, sede di un DEA (Dipartimento di Emergenza e Accettazione) di secondo livello, in una città come Roma, si può riassumere come la più importante e delicata esperienza manageriale che un dirigente possa affrontare – racconta il prof. Marco Elefanti, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS -. Durante la prima ondata della pandemia i fattori di complessità derivavano, ad esempio, da notevoli flussi di pazienti che raggiungevano il Pronto soccorso del Gemelli in urgenza senza possibilità di prevederne l’evoluzione numerica. Non potevo credere ai video che ricevevo tra fine marzo e aprile dello scorso anno, realizzati da operatori sanitari o da pazienti, tanto da voler verificare da vicino la situazione personalmente. Questa esperienza ci ha messo davanti alle fragilità di un sistema non pienamente preparato ad affrontare le emergenze e che necessita di una riorganizzazione che punti all’ottimizzazione delle risorse, per garantire al paziente la miglior assistenza in qualunque momento e le condizioni di lavoro ottimali per i nostri sanitari, che in questa emergenza hanno dimostrato che la sanità italiana opera a livelli altissimi”.
“L’emergenza Coronavirus ha messo in evidenza criticità e punti di forza del Servizio Sanitario Nazionale che erano presenti ben prima dello scoppio della pandemia, ma che il Covid-19 ha messo prepotentemente in rilievo – commenta il dott. Lorenzo Galletti, Direttore Cardiochirurgia, Cardiologia e Trapianto Cuore-Polmone all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma -. Ad esempio penso alle diseguaglianze regionali, ovvero sistemi sanitari a differente capacità di risposta, a cui si deve rispondere con un concetto di medicina di comunità e non basato sul singolo paziente. Ma è emersa anche un’incredibile resilienza: abbiamo capito che i nostri ospedali hanno una capacità di “rimodulazione” interna che supera la tradizionale organizzazione in dipartimenti ed unità operative; sono stati ricavati posti di terapia intensiva e sub-intensiva per coprire le necessità emergenziali, sono stati creati posti di pneumologia dove non esistevano. Spero che tutto ciò ci abbia insegnato la necessità di possedere ed aggiornare un piano pandemico; alcune prestazioni per altre malattie infatti non sono state fornite in maniera puntuale: ne è un esempio l’indice triplicato di mortalità per infarto miocardico acuto. Tutto questo non deve più avvenire se si effettua una programmazione delle risorse ma anche una corretta pianificazione dell’emergenza”.
Il futuro è oggi e ci sta indirizzando verso una maggiore prossimità nella sanità, con una ridefinizione organizzativa dell’offerta sanitaria – commenta il dott. Raffaele Donini, Assessore alle politiche per la salute della Regione Emilia Romagna -. Ciò significa implementare i servizi sul territorio. Potenziare la medicina territoriale è il modo più efficace per garantire l’assistenza primaria, anche in raccordo con un privato accreditato che sia di supporto alle politiche del Servizio sanitario pubblico e universalistico. La sanità del futuro, su cui stiamo lavorando già oggi, è quella in cui, sempre più, non sarà il cittadino a dover andare all’ospedale, ma l’ospedale ad andare a casa del cittadino. È necessario, infatti, presidiare la salute della comunità, attrezzando e potenziando i servizi di prevenzione di ogni livello. Le case della salute sono, in questo senso, un presidio fondamentale sulle quale, come Regione Emilia-Romagna, investiamo con grande determinazione, al punto da avere la rete più estesa del Paese, con 126 strutture sul territorio. Sarà determinante continuare ad investire sul digitale. La Regione, nel 2020, ha investito quasi 14 milioni di euro nella digitalizzazione delle strutture sanitarie. Ma il digitale è anche alleato prezioso per una vera sanità territoriale. Le nostre esperienze in tema di telemedicina ci dicono infatti che siamo sulla strada giusta, per gestire la presa in carico del paziente anche da remoto”.
L’appuntamento si è concluso evidenziando, da parte del dott. Galletti, cinque possibili iniziative quali “ricette” per migliorare il futuro sanitario in Italia, paese che può vantare uno tra i 5 migliori sistemi sanitari al mondo.
*nella foto, da sinistra,